NOTE SULL'EVOLUZIONE DELLE PRATICHE ARTISTICHE NEL GIAPPONE CONTEMPORANEO
Questo testo è una rivisitazione dell'introduzione contenuta nel libro "The Pink Gaze, Lo Sguardo Rosa" che accompagnava l'omonima mostra da me curata presso il Museo Nazionale d'Arte Orientale di Roma e il Museo Carandente di Spoleto nel 2014.
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Copertina del libro "Lo sguardo rosa del Giappone contemporaneo" di Valentina Gioia Levy.
Immagine di Kazuko Miyamoto http://www.casadeilibri.com/the-pink-gaze/
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Il periodo che va dal secondo dopoguerra ad oggi in Giappone è chiamato gendai (現代) che significa appunto ‘epoca contemporanea’. In questi 70 anni, una lunga serie di eventi e cambiamenti politici, economici e sociali hanno contribuito a modificare radicalmente l’aspetto del paese. Dal punto di vista della storia dell’arte e dell'evoluzione delle pratiche artistiche, nel mio testo del 2014, avevo già individuato quattro fasi fondamentali che contraddistinguono questo lungo arco temporale: il dopoguerra, ovvero la seconda metà degli anni '40 e gli anni ’50; gli anni ’60 e ’70; il ventennio a cavallo tra la fine dell’epoca Shōwa (1926-1989) e l’inizio di quella Heisei (1989-); l’inizio del nuovo millennio.
Il 15 agosto 1945 attraverso un comunicato radio il popolo giapponese ascoltava per la prima volta la voce dell’Imperatore. Il sovrano annunciava la disfatta e il conseguente obbligo di 'resa incondizionata' nei confronti degli Stati Uniti. Il Paese era a una svolta epocale della sua storia, non soltanto perché usciva da una guerra durata circa quindici anni, iniziata per il Giappone con l’attacco alla Manciuria nel 1931, ma anche perché per la prima volta l'arcipelago nipponico veniva occupato da forze straniere, nel caso specifico il Commando Supremo delle Forze Alleate (SCAP, Supreme Command of Allied Powers) capitanato dal generale Douglas MacArthur (1880-1964).
Nonostante la situazione drammatica in cui versava il paese, distrutto e completamente da ricostruire, in ambito artistico la fine del conflitto corrisponde a una vera e propria rinascita che vede il sorgere di una nuova consapevolezza critica, la formazione di associazioni di artisti e la promozione di diversi eventi culturali di risonanza internazionale. Tra questi ricordiamo le grandi rassegne d’arte come la Nihon Indipendent, sponsorizzata dal quotidiano Yomiuri che presenta per la prima volta in Giappone grandi nomi delle scene artistiche europee e statunitensi, oppure la Japan International Art Exhibition, anche nota come Biennale di Tokyo, promossa dal quotidiano Mainichi. Per quanto riguarda le pratiche e le ricerche artistiche, nei grandi centri urbani si vengono a creare principalmente due tendenze che seguono percorsi paralleli. Da una parte, si assiste a un ritorno delle avanguardie espressioniste di ispirazione europea che avevano iniziato a svilupparsi già nel primo decennio del '900 e il cui sviluppo era stato bruscamente interrotto negli anni ’30 dal regime militare, il quale riteneva i suoi fautori vicini al pensiero socialista. Dall’altra parte, prevale invece la ricerca di un realismo crudo, a volte molto duro, che ha origine nella volontà di alcuni artisti, in particolare fotografi, di documentare la pesante situazione sociale ed economica in cui versava il paese all’indomani della guerra. Tra i maestri della fotografia di questo periodo ricordiamo in particolare Domon Ken, i cui scatti di Hiroshima e degli hibakusha, ovvero i sopravvissuti del disastro nucleare, hanno colpito l'opinione pubblica mondiale.
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Domon Ken. Dalla serie "Hiroshima", Bagno presso il fiume davanti allo Hiroshima Dome, 1957. Courtesy of Ken Domon Museum of Photography
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Di pari passo con queste due tendenze che prendono piede soprattutto nella capitale, in centri tradizionalmente considerati minori, si formano una serie di gruppi votati alla sperimentazione le cui pratiche artistiche si concentrano sui processi creativi e sulla volontà di rinnovamento dei medium espressivi, nel tentativo di produrre effettivi cambiamenti nei codici estetici e nelle modalità di produzione dell'opera d'arte. Le associazioni Zero, Jikken Kobo (Experimental Workshop) e Gembi sono i precursori di Gutai che sarà il gruppo più longevo e di maggior successo tra quelli nati nell’immediato dopo-guerra. Queste associazioni di artisti, in particolare Gembi, di cui facevano parte scrittori, storici dell’arte e artisti tra cui lo stesso Jiro Yoshihara che nel 1954 diede vita a Gutai, si interrogano sul rapporto tra tradizione e contemporaneità, arrivando generalmente a concordare sulla necessità di cancellare quanto prodotto fino a quel momento. Ritornare al punto zero della conoscenza era proprio lo scopo annunciato nel manifesto del Gruppo Zero, che includeva, tra gli altri, Atsuko Tanaka, Kazuo Shiraga e Saburo Murakami che successivamente raggiungeranno Yoshihara all'interno dell'associazione da lui creata ad Osaka. Simili obiettivi saranno infatti anche al centro del lavoro del gruppo Gutai, che in Giapponese significa 'concreto' e che con le loro sperimentazioni processuali, esploreranno le più svariate modalità di creazione con lo scopo di produrre un radicale rinnovamento nella pittura. Se negli anni ’50 l’opera d’arte resta comunque al centro delle priorità, nel decennio successivo l’attenzione degli artisti si sposta verso una tendenza alla smaterializzazione dell’oggetto.
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| Kazuo Shiraga. Sfida al Fango, performance (1955) |
Gli anni ’60 sono ancora un periodo di transizione in cui la situazione interna del paese rimane piuttosto instabile. Nonostante i notevoli passi avanti dell’economia, i danni ambientali, l’innalzamento dei prezzi, lo spopolamento delle campagne contro uno spropositato sovrappopolamento delle città, alimentano il malcontento della popolazione. A livello internazionale, nonostante l’avvio di un’efficace politica di distensione dei rapporti con i paesi limitrofi danneggiati durante il conflitto mondiale e la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, in seguito allo scoppio della guerra del Vietnam l’insofferenza nei confronti della politica internazionale statunitense comincia a farsi sentire, accompagnata da manifestazioni più o meno violente da parte di fasce estremiste della popolazione. Nel ’68 si verificarono attacchi da parte di manifestanti all’Ambasciata Americana, al Palazzo della Dieta e al Ministero della Difesa, mentre gruppi di studenti armati assaltarono la stazione di Shinjuku, costringendo il governo a proclamare la legge marziale. Nel ‘69 il focolaio delle proteste si concentrò negli ambienti universitari. Dopo aver occupato i locali della Tokyo Daigaku, gli studenti non esitarono a scendere in piazza per manifestare contro l’allora capo di gabinetto Satō Eisaku e l’ennesimo rinnovo del trattato di sicurezza nippo-americano da lui appena concluso, che in pratica prolungava ulteriormente l'occupazione del paese da parte delle forze armate statunitensi. Nonostante le proteste della popolazione e soprattutto degli studenti, il governo non riuscì ad opporsi agli Stati Uniti che da parte loro avevano bisogno del Giappone come base d'appoggio strategica per contro-bilanciare l'influenza sovietica nel continente asiatico.
Il clima di rivolta socio-politica si rispecchia pienamente nella scena artistica di questi anni. Grazie alla ritrovata mobilità degli artisti e alla circolazione delle idee favorita dal miglioramento delle comunicazioni, dal benessere economico e dalla distensione delle relazioni diplomatiche, i movimenti e le tendenze internazionali riescono con facilità ad arrivare in Giappone. Per la diffusione del movimento Fluxus, in particolare, e in generale per la promozione di ogni tipo di sperimentazione tra suono, performance e arti visive sono stati essenziali i contributi del gruppo Ongaku (che significa appunto, 'musica') e di diversi artisti tra cui: Shiomi Mieko, (co-fondatrice di Ongsku), Yoko Ono e il suo primo marito il compositore Toshi Ichiyanagi, Kuniharu Akiyama, Ay-O, Shigeko Kubota che vivevano tra New York e Tokyo. Nel 1965 venne creata una sorta di 'filiera' Fluxus in Giappone i cui promotori erano tutti attivi anche nella cerchia di George Maciunas.
Negli anni ’60 gli artisti nipponici sembrano scagliarsi contro l’arte stessa, tanto che molti iniziano a definire la loro pratica come anti-art. Il critico Yoshiaki Tōno (1930–2005) conia la definizione Post Hiroshima Generation per definire i membri del collettivo Neo Dada, creato nel 1960 da Ushio Shinohara, che proprio in quegli anni insieme agli Hi Red Center e al gruppo Ongaku si faceva notare per le sue performance estemporanee di matrice relazionale, fondate sulla protesta politica. L’interesse di questa definizione sta nell’associazione diretta con l’evento tragicamente simbolico dell’esplosione atomica. Come ebbe modo di spiegare lo stesso Tōno, Hiroshima rappresentava la distruzione di un intero sistema di valori e di ideali che a partire dagli anni ’30 erano stati inculcati nella popolazione dalla propaganda militare. Nell’agosto del 1945, la maggior parte degli artisti attivi negli anni ‘60 aveva poco più o poco meno di decina d’anni. Le rovine e le macerie prodotte durante il conflitto dai bombardamenti americani costituirono il loro terreno di gioco. Sebbene troppo giovani per rendersi conto della gravità e dello stato di confusione in cui versava il paese in quel particolare momento storico, la distruzione, la morte, il senso di svuotamento e di dissolvimento della materia erano parte integrante della loro realtà quotidiana, proprio negli anni in cui la loro personalità si definiva, influenzando inevitabilmente le future scelte espressive. Questi gruppi neo-avanguardisti non usano tuttavia un linguaggio violento. L'estetica radicale si esprime per lo più attraverso l'azione paradossale, spesso parodistica come nel caso degli Hi Red Center, collettivo attivo tra il 1963-1964 e composto da Akasegawa Gempei, Jiro Takamatsu e Natsuyuki Nakanishi, che sceglie spesso la strada come luogo per happening e azioni inconsuete, ma che si mimetizzano nell'ambiente urbano senza creare shock o dar vita a provocazioni troppo dirette.
Anche gli artisti che non aderiscono a ricerche politicamente orientate, come nel caso dei membri del gruppo Mono-ha fondato alla fine degli anni’60 da Nobuo Sekine, intraprendono tuttavia scelte radicali, orientandosi non solo verso la smaterializzazione dell’opera d’arte ma persino verso una rinuncia alla processualità e alla creazione, che arriverà fino a trasformare l’artista da soggetto che crea a soggetto che osserva. Esemplificativi di quest'attitudine sono gli interventi minimalisti di Nobuo Sekine, come nel caso di Phase - Mother Earth (1968) in cui si limita a tirare fuori dal suolo di un parco un gigantesco cilindro di terra esposto proprio di fronte il vuoto lasciato dall'elemento estrapolato oppure l'installazione Phase of Nothingness, presentata nel 1970 nel Padiglione giapponese della Biennale di Venezia che consisteva in un’enorme pietra poggiata su un piedistallo rappresentato da una colonna di acciaio inossidabile specchiante.
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| Mieko Shiomi, Yamaguchi Katsuhiro, Kuniharu Akiyama e Ay-O performano il lavoro di Shiomi Compound View No. 1 durante l'evento "From Space to Environment" al Sogetsu Art Center (Tokyo, 1966) |
Negli anni ’60 gli artisti nipponici sembrano scagliarsi contro l’arte stessa, tanto che molti iniziano a definire la loro pratica come anti-art. Il critico Yoshiaki Tōno (1930–2005) conia la definizione Post Hiroshima Generation per definire i membri del collettivo Neo Dada, creato nel 1960 da Ushio Shinohara, che proprio in quegli anni insieme agli Hi Red Center e al gruppo Ongaku si faceva notare per le sue performance estemporanee di matrice relazionale, fondate sulla protesta politica. L’interesse di questa definizione sta nell’associazione diretta con l’evento tragicamente simbolico dell’esplosione atomica. Come ebbe modo di spiegare lo stesso Tōno, Hiroshima rappresentava la distruzione di un intero sistema di valori e di ideali che a partire dagli anni ’30 erano stati inculcati nella popolazione dalla propaganda militare. Nell’agosto del 1945, la maggior parte degli artisti attivi negli anni ‘60 aveva poco più o poco meno di decina d’anni. Le rovine e le macerie prodotte durante il conflitto dai bombardamenti americani costituirono il loro terreno di gioco. Sebbene troppo giovani per rendersi conto della gravità e dello stato di confusione in cui versava il paese in quel particolare momento storico, la distruzione, la morte, il senso di svuotamento e di dissolvimento della materia erano parte integrante della loro realtà quotidiana, proprio negli anni in cui la loro personalità si definiva, influenzando inevitabilmente le future scelte espressive. Questi gruppi neo-avanguardisti non usano tuttavia un linguaggio violento. L'estetica radicale si esprime per lo più attraverso l'azione paradossale, spesso parodistica come nel caso degli Hi Red Center, collettivo attivo tra il 1963-1964 e composto da Akasegawa Gempei, Jiro Takamatsu e Natsuyuki Nakanishi, che sceglie spesso la strada come luogo per happening e azioni inconsuete, ma che si mimetizzano nell'ambiente urbano senza creare shock o dar vita a provocazioni troppo dirette.
Anche gli artisti che non aderiscono a ricerche politicamente orientate, come nel caso dei membri del gruppo Mono-ha fondato alla fine degli anni’60 da Nobuo Sekine, intraprendono tuttavia scelte radicali, orientandosi non solo verso la smaterializzazione dell’opera d’arte ma persino verso una rinuncia alla processualità e alla creazione, che arriverà fino a trasformare l’artista da soggetto che crea a soggetto che osserva. Esemplificativi di quest'attitudine sono gli interventi minimalisti di Nobuo Sekine, come nel caso di Phase - Mother Earth (1968) in cui si limita a tirare fuori dal suolo di un parco un gigantesco cilindro di terra esposto proprio di fronte il vuoto lasciato dall'elemento estrapolato oppure l'installazione Phase of Nothingness, presentata nel 1970 nel Padiglione giapponese della Biennale di Venezia che consisteva in un’enorme pietra poggiata su un piedistallo rappresentato da una colonna di acciaio inossidabile specchiante.
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| Nobuo Sekine. Phase - Mother Earth, installazione ambientale (1968) |
Durante gli anni ’70, nonostante il progressivo smussamento delle istanze radicali e il progressivo intensificarsi delle ricerche orientate verso tendenze concettuali, geometrico-minimaliste e ambientali, non si riscontrano grosse mutazioni nelle pratiche artistiche le cui priorità sembrano restare più o meno invariate. A partire dagli anni ’80 invece, di pari passo con quel che avviene nel resto del mondo, inizia a delinearsi un altro momento di cambiamento. Per il paese del Sol Levante quello che va dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’90 è un periodo piuttosto complesso. Negli anni immediatamente successivi alla seconda crisi petrolifera mondiale del 1979, il Giappone che già da tempo aveva avviato un importante processo di riconversione industriale basato sulla produzione di prodotti di alta tecnologia, aumenta le sue esportazioni in maniera esponenziale, affermandosi ben presto come seconda potenza economica mondiale. La situazione interna si stabilizza durante il periodo di governo di Yasuhiro Nakasone (1982-1987) e le relazioni con gli Stati Uniti si distendono grazie ai buoni rapporti tra il primo ministro nipponico e il presidente Ronald Regan. In quegli anni, i personaggi della subcultura manga entrano a far parte dell’immaginario collettivo di migliaia di bambini e adolescenti in tutto il mondo; in California esplode la sushi-mania; figure come quelle di Rei Kawakubo, Yoji Yamamoto e Issey Miyake rivoluzionano il mondo della moda destrutturando abiti che diventano in alcuni casi più simili ad architetture indossabili che a semplici vestiti; icone del design come il walkman della Sony ed altri piccoli oggetti elettronici arrivano in ogni parte del globo; l’approccio di archistars come Tadao Ando e Toyo Ito influenzano in maniera decisiva il rapporto tra architettura e natura.
Dal punto di vista delle pratiche artistiche si va incontro a un decisivo cambio di rotta. Si assiste ad un rapido estinguersi delle associazioni artistiche e dei gruppi che avevano proliferato nei decenni precedenti, in favore di una tendenza allo sviluppo individuale della ricerca. Il benessere economico, la cultura del consumo e le istanze materialistiche ad essa connesse, oltre a riportare l’attenzione sull’opera e la sua fisicità introducono elementi quali le nuove tecnologie, intese come medium e come territorio di indagine, e il ricorso ad un’estetica e un linguaggio espressivo mutuato dalla sub-cultura manga. D’altro canto, si assiste anche a un recupero di codici visivi e teorie estetico-filosofiche riconducibili alla tradizione giapponese che spingono a una rilettura di tendenze internazionali, quali la land-art o il minimalismo, alla luce dei principi dello shinto o dello zazen.
Per quanto riguarda l'evoluzione delle pratiche artistiche, si assiste quindi ad un ritorno alla materialità dell'opera, all'oggetto e all'immagine, ma anche ad un maggiore eclettismo e a una diversificazione delle tematiche trattate e delle modalità di espressione scelte dagli artisti che da questo momento in poi lavoreranno principalmente in maniera individuale. Dopo aver abbandonato il gruppo Japan Kobe Zero verso la fine degli anni '70, Chu Enoki inizia ad affiancare alle performance e a i lavori più effimeri che avevano caratterizzato la sua ricerca fino a quel momento, la creazione di grandi installazioni composte di pezzi di metallo recuperati da vecchie macchinari oppure da armi e proiettili. Questi lavori, che spesso assomigliano a delle macchine da guerra sembrano voler sublimare la violenza dei decenni precedenti, che ormai non è più espressa nell'azione e nella protesta, ma inglobata e metabolizzata all'interno di oggetti inquietanti che si portano dietro il retaggio di una storia non ancora dimenticata.
Shinro Ohtake continua la serie di assemblaggi, già iniziati nel decennio precedente, costituiti da oggetti di recupero e soprattutto giornali, libri e fumetti scampati al macero e collezionati in maniera compulsiva. Intorno alla metà degli anni '80, Nobuyoshi Araki inizia le sue sperimentazioni fotografiche in Arakinema, grandi proiezioni di immagini fotografiche ad imitazione del linguaggio cinematografico che ingrandiscono lo scatto fino ad occupare un'intera parete e negli anni '90 i suoi scatti erotici che sembrano moderne rivisitazioni delle stampe erotiche tradizionali (shun-ga) diventano famose in tutto il mondo. Tadashi Kawamata comincia a realizzare le sue strutture architettoniche in legno grezzo che sembrano parassitare facciate ed interni di grandi palazzi e costruzioni. Kazuko Miyamoto, a New York comincia ad affiancare ai suoi lavori minimalisti, un tipo di ricerca che affonda le radici nelle arti performative e nella filosofia giapponese antica. L'eclettismo degli anni '80 si manifesta in Giappone attraverso una rielaborazione iper-contemporanea di elementi estetico-formali e filosofici tradizionali.
Per quanto riguarda l'evoluzione delle pratiche artistiche, si assiste quindi ad un ritorno alla materialità dell'opera, all'oggetto e all'immagine, ma anche ad un maggiore eclettismo e a una diversificazione delle tematiche trattate e delle modalità di espressione scelte dagli artisti che da questo momento in poi lavoreranno principalmente in maniera individuale. Dopo aver abbandonato il gruppo Japan Kobe Zero verso la fine degli anni '70, Chu Enoki inizia ad affiancare alle performance e a i lavori più effimeri che avevano caratterizzato la sua ricerca fino a quel momento, la creazione di grandi installazioni composte di pezzi di metallo recuperati da vecchie macchinari oppure da armi e proiettili. Questi lavori, che spesso assomigliano a delle macchine da guerra sembrano voler sublimare la violenza dei decenni precedenti, che ormai non è più espressa nell'azione e nella protesta, ma inglobata e metabolizzata all'interno di oggetti inquietanti che si portano dietro il retaggio di una storia non ancora dimenticata.
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| Chu Enoki. AK47/AR15 Installazione |
Shinro Ohtake continua la serie di assemblaggi, già iniziati nel decennio precedente, costituiti da oggetti di recupero e soprattutto giornali, libri e fumetti scampati al macero e collezionati in maniera compulsiva. Intorno alla metà degli anni '80, Nobuyoshi Araki inizia le sue sperimentazioni fotografiche in Arakinema, grandi proiezioni di immagini fotografiche ad imitazione del linguaggio cinematografico che ingrandiscono lo scatto fino ad occupare un'intera parete e negli anni '90 i suoi scatti erotici che sembrano moderne rivisitazioni delle stampe erotiche tradizionali (shun-ga) diventano famose in tutto il mondo. Tadashi Kawamata comincia a realizzare le sue strutture architettoniche in legno grezzo che sembrano parassitare facciate ed interni di grandi palazzi e costruzioni. Kazuko Miyamoto, a New York comincia ad affiancare ai suoi lavori minimalisti, un tipo di ricerca che affonda le radici nelle arti performative e nella filosofia giapponese antica. L'eclettismo degli anni '80 si manifesta in Giappone attraverso una rielaborazione iper-contemporanea di elementi estetico-formali e filosofici tradizionali.
Il 1989, in particolare, è un anno chiave nella storia del Giappone contemporaneo. La morte dell’imperatore Hirohito segna la fine dell’epoca Showa 昭和 (1926 - 1989) e l’inizio di quella Heisei 平成. L’evento mette in luce contrasti ideologici in merito alla figura imperiale, dando vita ad un acceso dibattito sull’incostituzionalità dei riti shintoisti previsti in occasione della cerimonia di insediamento al trono del nuovo sovrano Akihito. Tali riti sembravano infatti avallare ancora l’ipotesi di una presunta natura divina del sovrano trasgredendo il principio di laicità dello Stato. In politica estera, la caduta del muro di Berlino e la crisi del mondo comunista portano alla ribalta il pericolo nucleare nord-coreano. Gli anni ’90 sono anche quelli della grande crisi economica e politica che porterà all’esplosione della bolla speculativa. Nel giro di vent’anni il Giappone sperimenta l’apice del successo e la ricaduta più importante di tutta la sua storia contemporanea. Ad aggravare la situazione del paese negli anni ’90, ricordiamo il grande terremoto di Kobe che nel settembre del 1995 causò oltre 6.000 vittime e danni per migliaia di miliardi di yen. Sia all’interno del paese che all’estero, la catastrofe alimentò numerose polemiche sulla cattiva gestione dell’emergenza da parte del governo, contribuendo a far crollare il mito di un Giappone perfettamente organizzato e sempre pronto ad affrontare ogni situazione di criticità attraverso l’efficienza, la forte cooperazione sociale e la solidarietà. Il ventennio si chiude con un altro grave episodio: l’incidente nella centrale nucleare di Tokaimura, a settembre del 1999, causato da un errore umano nell’ambito di inadeguate procedure del trattamento dell’uranio, che si rivelarono oltretutto non autorizzate dalla Commissione per la Sicurezza Nucleare.
Il Giappone entra nel nuovo millennio portandosi dietro una serie di problematiche irrisolte. Nel 2001 il primo ministro Mori è costretto a dimettersi in seguito ad una serie di scandali legati ad episodi di corruzione, che vedono invischiati i vertici del governo. Il suo successore Koizumi riesce a risollevare la situazione economica del paese, facendolo uscire dal periodo di stagnazione in cui si trovava, ma non senza sacrifici per la popolazione. Nel frattempo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, l’aumento di gravi episodi di delinquenza minorile preoccupa notevolmente l’opinione pubblica. La crescita della violenza alla fine del millennio è di natura ben diversa rispetto a quella degli anni ’60. È frutto di stravolgimenti che hanno intaccato la struttura e la coesione sociale della popolazione giapponese dal dopoguerra in poi ed è sintomatica di un malessere generazionale che colpisce in particolare gli adolescenti. Oltre agli episodi di violenza nei primi anni del 2000 si è diffuso anche un altro fenomeno inquietante: ragazzi che si chiudono nelle loro stanze evitando i contatti con il mondo esterno, creando un universo parallelo in cui non c'è spazio per l'interazione con l'altro se non attraverso gli strumenti di comunicazione virtuale e i social media. A questa forma di auto-isolamento è stato dato il nome di Hikikomori.
Tornando alle pratiche e alle ricerche artistiche tra la fine degli anni ’90 e poi soprattutto nel 2000 si assiste ad uno spostamento di interesse verso le istanze di matrice identitaria che mai si era riscontrato prima nell'arte giapponese. L’artista e le sue pulsioni ego-centrate, la sua storia, il suo passato, il suo rapporto con gli oggetti che lo rappresentano, lo spazio e la società diventano il suo narcisistico campo di indagine. L’utilizzo delle nuove tecnologie e soprattutto della rete web per esplorare dinamiche inter-relazionali e problematiche individuali e sociali si intensifica, mentre la propensione all’utilizzo di codici estetici e linguaggi della cultura popolare che in Giappone è soprattutto rappresentata dai manga dà vita al movimento Superflat, vera e propria versione nipponica del neo-pop. Il capofila del movimento, il cui nome super-piatto si riferisce al mondo bidimensionale, privo di profondità e di spessore sia formale che concettuale tipico dei manga, è Takashi Murakami. A lui si deve per altro il nome di questa tendenza, a cui molti artisti oggi aderiscono, tra cui ricordiamo Aya Takano, Chiho Aoshima, Yoshitomo Nara, Sachiko Kazama.
La personalità dell’artista arriva fino a travalicare i confini del corpo per espandersi nello spazio fisico e nel virtuale. La tendenza allo sviluppo di linguaggi installativi che prevedono la creazione di ambienti che sono delle vere e proprie proiezioni dell’immaginario dell’artista si fa sempre più frequente, rispondendo a un’urgenza di comunicazione che non si situa più nella dimensione linguistico-concettuale, ma in quella psico-emotiva dominata dai cinque sensi. La ricostruzione di ambienti in cui sentirsi protetti e/o in cui riuscire ad esorcizzare, fantasmi e incubi del passato, in cui proiettare, sogni, fantasie, aspettative e idealizzazioni sembra essere alla base dei lavori di artiste quali Yayoi Kusama e Chiharu Shiota, ma anche dei paradisi virtuali e fantascientifici, techno-buddhisti e shintoisti di Mariko Mori.
Seppur fortemente smussati, gli approcci radicali e contestatari degli anni '60 sembrano oggi rivivere nei lavori di Koki Tanaka che secondo i principi dell'estetica relazionale crea opere basate sulla partecipazione, la cooperazione e il lavoro congiunto degli spettatori. I suoi lavori sono in effetti dei dispositivi inter-relazionali che creano occasioni di scambio e stimolano riflessioni collettive. Ma ancora più che in Tanaka, l'approccio radicale che animava gli artisti della Post-Hiroshima Generation sembra rivivere nel lavoro del collettivo Chim↑Pom, les enfants terribles della scena artistica giapponese. Costituito nel 2005, quando tutti i suoi membri - Ellie, Ryuta Ushiro, Yasutaka Hayashi, Masataka Okada, Toshinori Mizuno e Motomu Inaoka - erano poco più che ventenni, il gruppo si è fatto presto conoscere per i suoi progetti imbevuti di senso dell'umorismo e di un sottile sarcasmo, ma caratterizzati anche da una critica pungente nei confronti della società giapponese e delle sue problematiche irrisolte.
La personalità dell’artista arriva fino a travalicare i confini del corpo per espandersi nello spazio fisico e nel virtuale. La tendenza allo sviluppo di linguaggi installativi che prevedono la creazione di ambienti che sono delle vere e proprie proiezioni dell’immaginario dell’artista si fa sempre più frequente, rispondendo a un’urgenza di comunicazione che non si situa più nella dimensione linguistico-concettuale, ma in quella psico-emotiva dominata dai cinque sensi. La ricostruzione di ambienti in cui sentirsi protetti e/o in cui riuscire ad esorcizzare, fantasmi e incubi del passato, in cui proiettare, sogni, fantasie, aspettative e idealizzazioni sembra essere alla base dei lavori di artiste quali Yayoi Kusama e Chiharu Shiota, ma anche dei paradisi virtuali e fantascientifici, techno-buddhisti e shintoisti di Mariko Mori.
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| Mariko Mori. Wave UFO (2003) |
Seppur fortemente smussati, gli approcci radicali e contestatari degli anni '60 sembrano oggi rivivere nei lavori di Koki Tanaka che secondo i principi dell'estetica relazionale crea opere basate sulla partecipazione, la cooperazione e il lavoro congiunto degli spettatori. I suoi lavori sono in effetti dei dispositivi inter-relazionali che creano occasioni di scambio e stimolano riflessioni collettive. Ma ancora più che in Tanaka, l'approccio radicale che animava gli artisti della Post-Hiroshima Generation sembra rivivere nel lavoro del collettivo Chim↑Pom, les enfants terribles della scena artistica giapponese. Costituito nel 2005, quando tutti i suoi membri - Ellie, Ryuta Ushiro, Yasutaka Hayashi, Masataka Okada, Toshinori Mizuno e Motomu Inaoka - erano poco più che ventenni, il gruppo si è fatto presto conoscere per i suoi progetti imbevuti di senso dell'umorismo e di un sottile sarcasmo, ma caratterizzati anche da una critica pungente nei confronti della società giapponese e delle sue problematiche irrisolte.














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