Arte come forma di Relazione - un paio di domande ad Elena Bellantoni sul workshop all'Accademia Italiana di Roma


Nel 1998, pochi anni dopo il suo libro Post-Productions, La culture comme scénario: comment l’art reprogramme le monde contemporain, Nicolas Bourriaud propone un’altra opera essenziale per comprendere e definire buona parte delle pratiche artistiche attuali. Nel saggio L’estetica Relazionale, il critico francese analizza tutte quelle pratiche artistiche che considerano come loro campo d'indagine la vastissima sfera delle relazioni umane e i differenti contesti in cui esse si producono. L'arte relazionale, così definita da Bourriaud, non crea oggetti fisici, ma esperienze; mette in atto "dispositivi relazionali" volti alla creazione di incontri, interazioni umane - relazioni - di cui l’artista è l’istigatore, ma il pubblico è  l'esecutore. 
Questo tipo di pratiche, possono considerarsi una sorta di eredità delle azioni degli artisti dell'Internazionale Situazionista, degli happening del gruppo Fluxus e di altri gruppi neo-avanguardisti che tra la seconda parte degli anni '50 e poi ancora negli anni '60 e '70 hanno ripetutamente esplorato diversi tipi di interazione con il pubblico. 


Allan Kaprow. Environments, Situation, Spaces.  Installazione alla Martha Jackson Gallery (1958)


In Italia, fin dai primissimi anni '90 il critico Roberto Pinto parla di "Forme di Relazione" per indicare le pratiche di artisti quali: il Gruppo di Piombino (di cui facevano parte Cesare Pietroiusti, Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica) e successivamente altri artisti tra cui Emilio Fantin, Eva Marisaldi, il duo Premiata Ditta, Giancarlo Norese. 

Salvatore Falci, Stefano Fontana, Pino Modica. Sosta di 15 minuti/15 minutes stop. Installazione ai Giardini della Biennale di Venezia (1984) 


Dagli anni '90, a livello internazionale, si assiste a un rapido proliferare delle pratiche artistiche relazionali, che potrebbe in parte essere interpretata come una naturale reazione  all'esaltazione dell'individualismo, del carrierismo, del successo personale e di tutti quei valori alla base della società di consumo, che erano stati sbandierati dalla cosiddetta generazione Yuppie (termine che deriva da Young Urban Professionals). Vale la pena ricordare a tal proposito l'infelice frase di Margaret ThatcherNon esistono società esistono solo individui”. D'altro canto il progressivo diffondersi di internet e dei nuovi metodi di comunicazione che hanno reso l'interazione umana sempre più virtuale hanno ulteriormente spinto sempre più artisti ad uscire fuori dai loro studi (o di aprirli) cercando di elaborare sempre nuovi "dispositivi relazionali" che tengono conto non solo degli individui ma anche delle loro interazioni tra cultura e territorio.

Dopo una breve ricognizione sulle performance situazioniste e Fluxus, durante il corso sono stati analizzati diversi esempi di arte relazionale dagli anni '90 ad oggi. In particolare ricordiamo, la performance organizzata alla 303 Gallery di New York da Rirkrit Tiravanija, nel 1992, quando l’artista trasformò la galleria in una cucina in cui serviva gratis riso thai con verdure al curry. I visitatori erano invitati semplicemente a partecipare all’happening mangiando il piatto preparato e servito dall’artista.  

Rirkrit Tiravanija Untitled (Free), 1992. Installation view at 303 Gallery courtesy, 303 Gallery and the artist


Tra gli altri casi analizzati in classe: il progetto "The Store" di Tracey Emin e Sarah Lucas (1993); gli ambienti - unità abitative di Andrea Zittel; "These Associations" di Tino Sehgal, realizzato nell'ambito del ciclo Unilever Series alla Turbine Hall della Tate Modern, di Londra (2011); il progetto di Koki Tanaka per il Padiglione giapponese alla 55 Biennale di Venezia (2013) che indagava il senso della condivisione e della collaborazione nell'ambito di una situazione di disagio ed emergenza come quella del disastro di Fukushima; "The word community feels good" di Marinella Senatore per la XIII Biennale di Lyon (Francia, 2015). 

Come ultimo esempio è stato citato il lavoro di Elena Bellantoni la cui pratica artistica si riconduce per buona parte all'arte relazionale


Elena Bellantoni. Impero Ottomano, performance (2015-17)


La settimana successiva l'artista ha poi coinvolto i ragazzi in un workshop a cura dell'associazione Wunderbar, di cui è socia fondatrice, che invitava gli studenti ad esplorare il territorio adiacente l'Accademia, un'area in cui convivono diverse anime, esercizi commerciali, spazi culturali e laboratori creativi. Uno sforzo di ripensare il rapporto al territorio che passava attraverso il tentativo di crearne una mappatura collettiva emotiva e sensoriale.


A PROPOSITO DEL WORKSHOP "TRASMETTIAMOCI" a cura dell'Associazione Wunderbar Presso l'Accademia Italiana di Roma


VGL: Corpo - Città - Flanerie - Deriva - Attraversamento - Come si collocano questi concetti all'interno della tua pratica artistica?

EB: Il camminare è stato per molto tempo uno strumento prediletto di esplorazione dello spazio. Il mondo e le cose ci attraversano, in senso fenomenologico, così il nostro esserci si forma in questo scambio di vasi comunicati tra il dentro ed il fuori.
Nei mei lavori per diverso tempo mi sono concentrata sui concetti di spostamento, attraversamento e marginalità del soggetto linguistico che ho declinato come nomade.
L’esperienza nomade del linguaggio, che vaga senza fissa dimora, abita i crocevia del mondo, regge il nostro senso dell’essere e della differenza, non è più l’espressione di una storia unica o di una tradizione. Questo implica un senso diverso di “dimora” di essere al mondo, significa concepire la residenza come qualcosa in movimento. Il pensiero migra, va tradotto.

VGL: Sempre rispetto a queste parole chiave, qual è quella (o quelle) su cui hai scelto di lavorare nell'ambito del workshop "Trasmettiamoci" con i ragazzi dell'Accademia Italiana?

EB: Per il workshop con i ragazzi ho pensato che fosse importante mettere al centro il corpo e la relazione con lo spazio visto che abbiamo proposto una walk. Per camminare bisogna sentire i propri passi e a volte essere disposti a perdersi. Solo così possiamo acquisire nuovi punti di vista e nuovi orizzonti andando verso il meno noto e ciò che è sconosciuto.
Come diceva bene Robert Smithson: "la marcia condiziona la vista e la vista condiziona la marcia al punto che solo i piedi possono vedere". 

VGL: Come si ricollega l'esperienza di Wunderbar con il tuo lavoro di artista? Potrebbe essere considerata un'estensione della tua ricerca? 

EB: Wunderbar nasce dopo un'esperienza berlinese di un project space 91mQ di 4 anni, ho sempre considerato questo tipo di esperienze parte del mio lavoro. Credo molto nel lavoro di squadra e nel confronto,  anche nel mio lavoro questo aspetto partecipativo emerge fortemente. Inoltre penso che l'impegno di cercare di costruire progetti legati al territorio sia una parte centrale della mio approccio artistico al mondo. Io non lavoro per Wunderbar, sviluppo all'interno dei progetti in cui credo e che seguono la poetica della mia ricerca.
Wunderbar in tedesco vuol dire meraviglia, ecco io non vorrei mai smettere di meravigliarmi attraverso l'arte!


Da destra a sinistra:  Manuela Contino (Art Project Manager di Wunderbar); Elena Bellantoni (Artista); Valentina Gioia Levy (Curatrice e docente di Accademia Italiana); Elena Giulia Abbiatici (Curatrice e Storica dell'Arte). Presso la sede di Accademia Italiana. 


A proposito di Elena Bellantoni


Elena Bellantoni, artista visiva, vive e lavora tra Roma e Berlino. Dopo essersi laureata in Arte Contemporanea all'Università La Sapienza di Roma, studia a Parigi e Londra, dove nel  2007 ottiene un MA in Visual Art al WCA University of Arts London; qui costituisce Platform Translation Group - una piattaforma di ricerca internazionale sul concetto di lingua e traduzione nelle arti visive - . Tra il 2005 ed il 2012 vive a Berlino dove apre 91mQ art project space;  con il suo rientro in Italia istituisce Wunderbar Cultral Project nel 2015. La sua ricerca si incentra sui concetti di identità ed alterità attraverso dinamiche relazionali che utilizzano il linguaggio ed il corpo come strumenti di interazione. Tra le personali: nel 2017 I give you my word, I give you my world, Fondazione Pietro Rossini, Brisosco (Milano);  DreamEscape alla Galleria Richter Fine Art di Roma; nel 2016 Hala Yella Galleria Viamoronisedici di Bergamo; 2015 performance Parole Passeggere per progetto Inchiostro con il MAXXI; nel 2015 Lucciole allo Spazio Alviani di Pescara; 2014 Passo a Due a Careof DOCVA di Milano; Dunque siamo.. Fondazione Filiberto Menna al Museo Archelogico di Salerno. Tra le collettive, 2017: Media Art Festival, MAXXI Museo Nazionali delle Arti del XXI Secolo, Roma; Here, There and the in- between, CFA, Albuquerque New Mexico, USA; Camminare l’orizzone. Chiralità, Double Room, Trieste; 2016: Beyond Borders. Transnational Italy a British School at Rome; The Picutre Club, American Academy in Rome, Al-Tiba9 Algiers Bardo National Museum, Algeria; Confluenze Antico Contemporaneo, Museo dell’Arte Classica, Roma; 2015: “Capolavori dalla Collezione Farnesina. Uno sguardo sull’arte italiana dagli anni Cinquanta ad oggi”, Museo di Arte Contemporanea di Zagabria, Croazia; 2014: Exodus Centro Cultural Recoleta, Buenos Aires, Argentina; African Fabbers, Marrakech Biennale, L’Blassa, Marrakech, Marocco; Spazi di percezione tra intangibile e tangibile Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma.



 Elena Bellantoni. “Cento battute al minuto” performance (2015). Teatro dell’Orologio, Roma

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